Urge mantenere sul territorio una fetta del valore prodotto

Urge mantenere sul territorio una fetta del valore prodotto

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 27 Marzo 2024, 04:05

Da alcuni giorni si è aperto su questo giornale un’importante discussione sulle acquisizioni di imprese marchigiane da parte di gruppi italiani o esteri. Il tema è complesso e non si presta a semplici conclusioni. La presenza di flussi di investimento verso la regione da parte di imprese nazionali o estere è un indicatore di attrattività del territorio e come tale va salutata positivamente. A maggiore ragione se si tratta di investimenti green field, cioè relativi a nuove attività; come la realizzazione del polo logistico di Amazon in Vallesina. Abbiamo più volte segnalato la vivacità della nostra regione per la nascita di start-up innovative a cui non corrisponde altrettanta vivacità nella disponibilità di capitali per la crescita; ben vengano, quindi, investitori italiani o esteri disposti a sostenere queste iniziative. I

l quadro diventa più complesso quando dagli investimenti nelle nuove iniziative si passa a considerare le acquisizioni di imprese già affermate. In questo caso le circostanze e le motivazioni possono essere molto diverse, sia dal lato dell’acquirente sia dal lato dell’impresa acquisita. Dal lato dell’acquirente possiamo avere gruppi industriali interessati ad espandere la capacità produttiva o le quota di mercato, oppure fondi di investimento che operano con logiche finanziarie. Dal lato dell’impresa acquisita le motivazioni per vendere possono anch’esse essere molto diverse: può trattarsi di una situazione di stallo associata a problemi di passaggio generazionale o di crisi di mercato. Ma non necessariamente la cessione avviene in situazioni di difficoltà; può essere determinata dalla volontà degli azionisti di valorizzare le proprie quote in un momento di mercato favorevole. Gli studi disponibili indicano che nel breve periodo gli effetti sull’occupazione e sulla crescita sono generalmente positivi.

L’entrata all’interno di un gruppo nazionale o internazionale consente maggiori possibilità di investimenti e un più agevole accesso ai mercati internazionali. Quasi sempre si associa anche ad un miglioramento delle pratiche manageriali.

Alcuni studi empirici hanno dimostrato che l’ingresso di multinazionali in un territorio stimola l’adozione di pratiche manageriali più efficienti in tutte le imprese presenti nell’area. Questo aspetto non è di poco conto per il nostro paese, caratterizzato da imprese familiari e con un basso livello di managerializzazione. Se misurato in relazione al PIL, in Italia il livello degli investimenti diretti esteri è inferiore a quello osservato nei principali paesi industrializzati, sia in entrata che in uscita. Ciò dipende dal fatto che il nostro tessuto industriale è costituito in prevalenza da piccole imprese, poco attraenti per gli investitori e poco capaci, a loro volta, di effettuare operazioni di acquisizione. Vi sarebbe, quindi, ampio spazio per favorire l’attrazione di investimenti da parte di gruppi italiani o esteri, purché questa maggiore apertura nei flussi di capitale non vada in una sola direzione.

La perdita del controllo può determinare non solo una minore attenzione verso il territorio ma soprattutto lo spostamento all’estero delle funzioni e dell’occupazione di più alto livello. Il rischio, soprattutto nei settori in cui conta il controllo dei marchi e della distribuzione, è di mantenere solo le attività manifatturiere all’interno di logiche commerciali e di mercato decise altrove. Si rischia di occupare posizioni nelle catene del valore che non consentono di trattenere nel territorio una fetta consistente del valore prodotto.

L’aspetto del controllo è tanto più rilevante quanto maggiore è la dimensione delle imprese acquisite. In questi casi entrano in gioco logiche di politica industriale nazionale ma che hanno inevitabili ripercussioni in ambito regionale, come nel caso dell’industria dell’elettrodomestico. I governi di Francia e Germania hanno mostrato maggiore attenzione dei nostri quando era in discussione il controllo di grandi imprese. Sarebbe opportuno che anche il nostro paese mostrasse maggiore attenzione alle politiche industriali di settore e non si limitasse a giocare di rimessa per tamponare gli effetti di strategie industriali decise altrove. 

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