Il credito alle nostre imprese e la sfida del capitale di rischio

Il credito alle nostre imprese e la sfida del capitale di rischio

di Donato Iacobucci
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Mercoledì 24 Aprile 2024, 05:55

Le edizioni del Corriere Adriatico di sabato e domenica hanno dato ampio risalto all’evento su credito e imprese che si è tenuto venerdì scorso a Jesi come prima tappa di una serie di incontri organizzati da Confindustria Ancona per gli 80 anni dalla fondazione. Fra le questioni dibattute nell’incontro vi è l’annosa diatriba sulla preferibilità delle banche locali rispetto alle banche nazionali o estere. Poiché le Marche sono una regione piccola e periferica la diatriba finisce per essere una discussione sulla preferibilità fra banche piccole e radicate nel territorio rispetto a filiali locali di grandi banche.

La questione è mal posta poiché le due opzioni non sono alternative ma complementari; la risposta più sensata è che sono utili entrambe poiché rispondono ad esigenze diverse. Come è stato evidenziato dagli imprenditori intervenuti nel dibattito, è irrilevante se la banca con cui si interagisce, in presenza o on line, è locale o nazionale; l’importante è che soddisfi le richieste e lo faccia con rapidità ed efficienza.

La vicinanza spaziale degli sportelli sta perdendo sempre più rilevanza. Se si tratta di servizi standardizzati e di accesso frequente è più efficiente averli a disposizione on line; se si tratta di operazioni complesse e saltuarie non spaventa fare qualche chilometro in più per trovare chi è in grado di fornire una soluzione efficace. Se si considera il credito alle imprese, l’evidenza statistica nella nostra regione non segnala significativi fenomeni di razionamento, cioè di imprese meritevoli che si sono viste negare il credito. È vero che gli impieghi sono calati negli ultimi mesi ma per carenza di domanda.

Non è la difficoltà di accesso al credito che spiega l’elevato numero di piccole imprese che cessano l’attività; al contrario, è la chiusura di molte imprese, indotta da altri fattori, a ridurre la domanda di credito. In questa discussione sulla relazione fra finanza e impresa merita segnalare che le testimonianze imprenditoriali all’incontro di Jesi, Alberto Rossi per la Frittelli Maritime Group ed Enrico Giacomelli per la Namirial, non hanno riguardato l’accesso al credito ma la raccolta di capitale di rischio.

I due imprenditori hanno discusso della loro esperienza di cessione di parte della proprietà ad investitori istituzionali per raccogliere capitale di rischio e sostenere la crescita.

La diffusione di queste operazioni e il superamento della centralità della banca nella raccolta di capitale sarà la vera sfida per il futuro delle nostre imprese. Di qualunque dimensione: dalle start-up alle grandi imprese. È una sfida perché implica un cambiamento profondo della cultura imprenditoriale del nostro paese che tende a considerare l’imprenditore al contempo anche come investitore e manager. Si tratta, invece, di funzioni distinte. Il bravo imprenditore non è chi le assomma tutte ma chi da una parte è in grado di raccogliere capitali, convincendo gli investitori della bontà delle proprie visioni e delle proprie strategie, e dall’altro è capace di selezionare e coordinare la squadra (i manager) adatta a realizzarle.

La mancata separazione dei ruoli espone a due rischi. Da una parte limita le possibilità di crescita per la ritrosia a condividere la proprietà e il timore di perdere il controllo. Dall’altro si rimane assorbiti dall’attività operativa venendo meno al ruolo dell’imprenditore: che è innanzitutto quello della visione e della leadership.

Indipendentemente dal fatto che si raccolga capitale di credito o capitale di rischio, nell’incontro di Jesi è stato più volte sottolineato che alle imprese sarà richiesto un livello sempre più elevato di trasparenza nel reporting - cioè nell’affidabilità e tempestività dei numeri da fornire a banche e investitori - e nella compliance ai criteri ESG (Environmental, Social, Governance) - cioè ai criteri di sostenibilità ambientale, sociale e di governance. Si tratta di aspetti importanti e sui quali le imprese sono chiamate a porre la massima attenzione. Appaiono, però, dei dettagli tecnici rispetto al salto culturale che sarà necessario per cambiare il modo di concepire la funzione imprenditoriale, separandola da quella dell’investitore e del manager.

* Docente di Economia  all’Università Politecnica  delle Marche e coordinatore  della Fondazione Merloni

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