Berlino frena e Pechino attrae: quali ricadute per le Marche?

Berlino frena e Pechino attrae: quali ricadute per le Marche?

di francesca spigarelli
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Sabato 16 Marzo 2024, 04:30

In questi ultimi giorni sono stati pubblicati alcuni nuovi dati economici sull’economia globale e su quella nazionale, che ci aiutano a comprendere anche lo stato dell’economia della nostra regione. L’Istat ha reso noto l’andamento delle esportazioni delle Regioni Italiane: a fronte di valori complessivi sostanzialmente stazionari, le dinamiche territoriali appaino decisamente differenziate. Le Marche risultano protagoniste, nel bene e nel male. Tra i contributi positivi maggiori all’export nazionale vi sono, infatti, “le vendite delle Marche verso la Cina (+390,8%)”. Analogamente, tra i cali più significativi si segnalano le esportazioni “delle Marche verso Belgio (-64,0%), Germania (-39,0%) e Stati Uniti (-33,2%)”. Gran parte della contrazione (-13,9%) dei flussi di export e del calo verso il Belgio sono legati al settore farmaceutico per la nostra Regione.

Se, come commentato dal Presidente della Camera di Commercio delle Marche Gino Sabatini "la performance negativa del chimico farmaceutico, le cui fluttuazioni sono note, non fa troppo notizia”, quello su cui vorrei riflettere è il legame della nostra Regione rispetto a due economie cruciali per il nostro territorio, ossia Cina e Germania, protagoniste rispettivamente di un (netto) miglioramento e di un (ulteriore) peggioramento della quantità di beni e servizi richiesti alle nostre imprese.

Con riferimento alla Germania, i dati apparsi sulla stampa specializzata questa settimana mettono in evidenza come il Paese potrebbe entrare in una nuova recessione tecnica, a causa delle crepe nel suo sentiero di sviluppo: la produzione industriale è diminuita dell’1,6% a dicembre 2023 su base mensile, le esportazioni si sono contratte del 4,6% nello stesso periodo, mentre gli ordini industriali sono scesi ai minimi post-pandemia (- 5,9%). 
I motivi di questa crisi (che ha trasformato la “locomotiva d’Europa” nel “malato d’Europa”) vanno ricercati nelle ragioni del successo degli anni passati: la Germania è cresciuta grazie all’accesso a fonti energetiche a basso costo fornite dalla Russia, alla forte domanda di beni consumo e di investimento provenienti dalla Cina, all’aumento del commercio globale.

Un’industria fortemente energivora, dipendente dai combustibili fossili, in ampio ritardo sulla transizione green è stata messa in ginocchio dalla crescita dei costi energetici. Le esportazioni tedesche hanno risentito del contesto geo politico incerto e del rallentamento/riposizionamento dell’economia cinese: i beni tedeschi non hanno più l’appeal di un tempo, specie nell’automotive.

La crisi della Germania è un problema per l’intera Europa, Italia in primis, vista l’integrazione con molte delle aree distrettuali nazionali. Si pensi alla meccanica nella nostra Regione, ma anche alla siderurgia, alla chimica e alla farmaceutica. Minore produzione industriale in Germania equivale a minori ordini per le imprese italiane (e marchigiane). Inoltre, tutti i paesi europei esportano molto in Germania, anche in termini di beni finali, proprio come accade per la nostra Regione (specie per il calzaturiero, tessile abbigliamento, agroalimentare). Il calo che l’Istat ha registrato per le esportazioni marchigiane sul fronte tedesco è, dunque, spiegato non da una perdita di competitività delle nostre imprese, quanto dalla crisi profonda di quel mercato.

Crisi che, in parte, passa anche per la Cina e per la trasformazione del suo modello di crescita. Vediamo allora cosa è accaduto questa settimana a Pechino.

Si è svolto l’incontro annuale dell’organo legislativo cinese, le cosiddette “Due Sessioni”: il primo ministro cinese Li Qiang ha consegnato il “Rapporto sul lavoro governativo 2024”, che individua una vasta gamma di obiettivi ed azioni economiche e di sviluppo per l’anno di riferimento. Primo dato rilevante è l’obiettivo di crescita del PIL, fissato per il 2024 a “circa il 5%”. Un target decisamente ambizioso (forse troppo), il cui raggiungimento richiede indubbiamente uno sforzo (enorme) del governo per stimolare l’economia. L’imperativo rimane la crescita dei consumi interni, anche mediante l’incentivazione degli acquisti (specie dei beni elettronici e dei veicoli a nuova energia - NEV).

Mentre ci si impegna a migliorare il contesto imprenditoriale per le società straniere, in modo da attrarre nuovamente investimenti esteri, la Cina dichiara di continuare ad investire nella transizione verde (inclusa la costruzione di basi di energia eolica e solare su larga scala), nell’adozione di tecnologie per la protezione ambientale, nei trasporti green. In questi settori, le opportunità per le nostre imprese sono ancora molto interessanti. Altra priorità è quella della modernizzazione del sistema industriale.

Il cuore della crescita cinese dovrà divenire il settore manifatturiero nelle industrie ad alta produttività, con un’attenzione particolare a energia verde, intelligenza artificiale (a cui è dedicata l’iniziativa “AI plus”), servizi digitali. Le industrie emergenti e del futuro saranno: veicoli elettrici connessi intelligenti, energia dall'idrogeno, nuovi materiali e prodotti farmaceutici innovativi, bio-produzioni, aerospazio ed economia a bassa quota, scienze della vita. La Cina cresce, in modo nuovo, non tumultuoso, tra notevoli incertezze e incognite (soprattutto geo politiche), ma cresce. Ciò si traduce in potenziali opportunità per le esportazioni italiane, soprattutto nei settori prioritari e di interesse sopra ricordati, ma anche e sempre più in relazione ai beni di alta qualità, elevata riconoscibilità, ad alto contenuto creativo.

La Cina resta un mercato di sbocco interessante, ma decisamente complicato e complesso da approcciare, specie se non dotati dei corretti strumenti culturali e manageriali. Condivido il commento ai dati sull’export regionale dei segretari di Confartigianato, Gilberto Gasparoni, e di Cna Marche, Moreno Bordoni che affermano “è necessario aumentare gli sforzi per sostenere le nostre piccole e medie imprese sui mercati esteri”.

Anche il presidente di Confindustria Marche, Roberto Cardinali, sottolinea che “in dieci anni abbiamo perso molte imprese e abbiamo ridotto anche il numero di quelle esportatrici. Il sistema ha tenuto, ma dobbiamo rafforzare il sostegno all’internazionalizzazione del sistema produttivo”. Un mantra vecchio, ma sempre attuale per il nostro territorio, in cui le imprese, piccole e competitive, innovative ma fragili, hanno bisogno di una politica industriale per l’internazionalizzazione. Ora più che mai.

* Professoressa ordinaria di Economia applicata all’Università di Macerata

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