JESI Ore di attesa per mancanza di barelle, accessi impropri, operatori sanitari chiamati a far fronte a ogni tipo di situazioni. Una donna residente in Vallesina, che nella serata di martedì sera ha accompagnato il padre di 86 anni al pronto soccorso del Carlo Urbani, decide così di rivolgersi al Tribunale del Malato per avere spiegazioni in merito a quella che doveva essere una “normale” urgenza. «Circa il 70% degli accessi al pronto soccorso sono impropri – afferma il dottor Pasquale Liguori, coordinatore del Tribunale – si tratta infatti spesso di pazienti che dovrebbero essere presi in carico dalla medicina territoriale».
L’odissea
«I pazienti gravi che hanno l’esigenza di recarsi al pronto soccorso – aggiunge Liguori – devono avere la possibilità di accedere nei reparti».
Diversa invece la situazione all’interno, da dove provenivano le urla di un paziente che, lì dalle 6.30 del mattino, voleva tornare a casa e sosteneva di star subendo un trattamento da incubo». E ancora: «Un’atmosfera poco rassicurante, confermata dalle parole dell’infermiere che al cambio turno ha accolto il collega dicendo “Benvenuti all’inferno”. Ma la cosa più grave per me è che mio padre non potesse essere preso in carico perché non c’erano barelle disponibili e le ambulanze all’esterno stazionavano in fila, in attesa del loro turno.
La decisione
Erano le 23 «quando l’operatore sanitario mi ha detto che per le analisi e la visita l’attesa sarebbe stata di 8 ore. Ho deciso allora di riportare a casa mio padre. È questa la sanità per cui paghiamo? Inoltre mi domando; tre ambulanze ferme per mancanza di barelle non mettono a rischio la salute di chi potrebbe avere bisogno di essere assistito?». Parole di comprensione invece per gli operatori sanitari: «Fanno del loro meglio con i pochi mezzi che hanno a disposizione. Vivono situazioni di forte stress e sono fin troppo gentili».