Anta, anzi orgogliosamente over. Ma chi l’ha detto che il più è fatto.
Che la strada, quella del lavoro, è segnata e ormai in discesa, che anche i sogni, come i successi, sono ex. Che si avvicinava il tempo in cui pian piano si scivola nell’ombra, più vicine alla cantina che al soffitto, accade spesso. Che tornare a correre sia più difficile che restare dove non si sorride da tempo. E chi l’ha deciso che bisogna esibire nel curriculum tante caselle vuote, senza figli, marito, compagno, amici, cani e hobby, un vuoto esistenziale da riempire con un super lavoro, per essere scelte, anzi le prescelte. Quasi ai margini e di nuovo al centro della scena, dimenticate e lavoratrici ideali, il paradosso over anta. Care «ragazze cresciute», vi hanno chiamato anche così, uscite dal mood cantine e tramonti (della carriera), ma ribellatevi anche al martirio inchiodate alle scrivania. “C’è vita dopo i 40”, per dirla con l’influencer Selvaggia Capizzi esperta di ripartenze. E non deve essere per forza una vita con il pc acceso h24. Basta crederci, dalla vostra la forza dei numeri. Siete la maggioranza, il 62% del totale delle lavoratrici. E ve la passate meglio di quel che immaginate. Più felici sul lavoro rispetto alle Millennial, secondo una recente ricerca di Kearney, società di consulenza strategica. Ancora con la voglia di crescere e di cercare nuove strade (il 23% delle intervistate). Forti come non mai.
«A venti anni si fa più fatica a imporsi, si è meno consapevoli e solide», è convinta l’economista Azzurra Rinaldi, docente della Sapienza e direttrice della School of Gender Economics. «Le over anta sono più centrate e capaci di dire no, rifiutano richieste che in passato avrebbero accettato per debolezza, anche un complimento non gradito.
IL CONTROSENSO
Ai margini, perché gli anni passano e anche le competenze se non rinnovate invecchiano. Ricercatissime proprio perché gli anni sono passati, i figli sono grandi e anche mariti e compagni sono ex. Obbligate, tante volte, a reinventarsi perché il Covid s’è portato via certezze e posti di lavoro. O pronte a farlo, solo per la voglia di rimettersi in gioco. Come Selvaggia Capizzi che a 46 anni ha rivoluzionato con successo il suo percorso, da top manager del settore farmaceutico a imprenditrice digitale e influencer (over 40 appunto) e nel libro “C’è vita dopo i 40” insegna come si fa a ripartire. «Prima di essere messa a fare le fotocopie, nell’azienda in cui lavoravo, sono uscita e ho fatto del mio hobby una nuova carriera». I consigli? «Non permettere agli altri di dirti che non sei adeguata, anzi ora hai una tale consapevolezza da essere una garanzia di solidità. E partire facendo un’analisi di marketing su sé stesse. Cosa so fare? E quello che so fare può trovare uno spazio nel mercato? Se le due cose coincidono, ti puoi reinventare dove vuoi. Credici e costruisci».
LA POLEMICA
C’è vita e c’è anche tanta carriera, dopo gli anta, a dar retta all’imprenditrice della moda Elisabetta Franchi. Lei ha detto - per poi correggersi dopo aver scatenato il finimondo - di puntare sulle manager mature, i giri di boa li hanno fatti e sarebbero per questo da preferire alle giovani ancora sensibili ai sogni di una famiglia. La lavoratrice ideale? Single e magari orfana. Messa così è una discriminazione che si somma alle altre e le moltiplica. Anta contro Enta, ultraquarantenni versus trentenni. Età più genere uguale: 0,0 possibilità di farcela. Indigniamoci, solennemente, e poi però chiediamoci se è davvero così che va, le mamme lavoratrici sono scomode. Meglio le over 40. È così che va, rispondono senza dubbi le promotrici - giornaliste, scrittrici e attiviste - della campagna social con l’hashtag #senzagiridiboa lanciata proprio dopo le dichiarazioni dell’imprenditrice. «Contro chi sostiene pubblicamente e implicitamente - scrivono - che sia più importante l’età anagrafica delle competenze, contro un sistema che teme la maternità». Offese e affondate tutte, in un colpo solo. Le over anta, votate al sacrificio tanto chi se le fila più fuori dall’ufficio. E le enta, categoria considerata inaffidabile. «Il ‘giro di boa’ deve farlo la società italiana, non le donne», Antonella Giachetti è presidente dell’Aidda, l’associazione imprenditrici e donne dirigenti d’azienda. «È inutile parlare di produttività se non si migliorano le infrastrutture sociali, come ad esempio gli asili nido e la sanità di prossimità, che permettono di portare il valore della cura in tutti gli aspetti della vita quotidiana, e non solo nell’ambito delle mura familiari, consentendo alle donne di dare il loro imprescindibile contributo al Paese». Un serio problema con le mamme in Italia c’è: 8 donne su 10, secondo una ricerca di “Sfera Mediagroup”, dicono di aver subito conseguenze negative sul lavoro dopo un figlio, e 6 su 10 temono che l’arrivo di un bambino le metta in difficoltà e così rimandano.
CAPITALE DELLE UNDER
Roma fa eccezione e scommette sulle enta: è la città italiana con il più alto numero di giovani donne manager, le under 35 sono il 41%, contro il 30% di Milano, secondo un’analisi di Manageritalia. «È un altro dei segnali del risveglio di Roma», commenta Roberto Saliola, presidente di Manageritalia Roma e Lazio. «Sono dati di mercato e non derivano da quote rosa. Se siamo i primi è perché le imprese hanno scelto professionalità femminili in base a qualità e competenze. Vogliamo difendere questo patrimonio, puntare su una nuova modalità organizzativa per mettere le donne nelle condizioni di restare nelle posizioni conquistate». Come? «Bisogna puntare sempre più a un equilibrio tra spazio aziendale e professionale, compenetrare la vita lavorativa con quella personale, altrimenti si rischia di avere robot in azienda. L’impresa con personale motivato rende di più e i dipendenti non li motivi solo con i soldi». Insomma, c’è vita dopo i quaranta, ma anche prima. E se uscissimo un po’ dagli schemi sarebbe anche una vita migliore.
© RIPRODUZIONE RISERVATA