Coronavirus, il virologo Palù: «La comunicazione scientifica non deve far vendere copie»

Coronavirus, il virologo Palù: «Crisanti? Non parlo di sciacalli zanzarologi»
Coronavirus, il virologo Palù: «Crisanti? Non parlo di sciacalli zanzarologi»
di Federica Cappellato
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Domenica 5 Luglio 2020, 11:23 - Ultimo aggiornamento: 11:41

«Il sale della discussione, anche nella scienza, è il confronto tra pari, tra virologi. Non certo con quelli che si accreditano come virologi o vengono accreditati dai media come tali». Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando il professor Giorgio Palù, il 1. ottobre scorso, passò il testimone della direzione del Centro di Microbiologia e Virologia dell’ Azienda ospedaliera universitaria di Padova a quell’Andrea Crisanti, non virologo ma parassitologo, di ritorno dall’Imperial College di Londra. Un rapporto inizialmente cordiale, amichevole e ammiccante, ben presto rovinosamente inciampato sul Covid-19 e le sue argomentazioni.
Crisanti, va detto, mediaticamente ha conquistato la platea al punto da essere indicato come l’artefice primo della vittoriosa battaglia contro il Covid, a colpi di tamponi a tappeto e di una strategia inizialmente solitaria e contraria alle linee guida mondiali, nazionali e di altre regioni. Il Veneto ha retto meglio l’urto, grazie a un’organizzazione e a un gioco di squadra a più livelli, riconosciuto da tutti. Ma il gioco di squadra mal si coniuga con i solisti, e l’attivismo mediatico di Crisanti ha provocato più di una frizione con il resto del “gruppo”.

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​Fino all’ultima esternazione, l’altro ieri, alla luce dei due focolai riaccesi improvvisamente: «La crescita dei contagi in Veneto era prevedibile - ha sentenziato Crisanti -, da aprile ripeto che bisogna dire la verità ai cittadini. Se si racconta che il virus è sparito le persone abbassano l’attenzione. L’ironia della sorte è che due dei firmatari del documento che sostiene questa tesi, Palù e Rigoli, siano tra i più ascoltati consulenti di Zaia, il quale più che arrabbiarsi con i veneti dovrebbe prendersela con i tecnici che gli stanno vicino».

Un attacco frontale che non poteva passare inosservato. Finora Giorgio Palù si era limitato ad assistere da lontano a questi exploit dialettici stizziti, ma stavolta sceglie di parlare. E la replica del virologo dal curriculum interminabile, past president di entrambe le Società di Virologia, italiana ed europea, che di Crisanti è stato il predecessore e il mentore, è pronunciata con tono pacato, ma ha contenuti durissimi: stringentemente scientifici, suffragati da un’ultraquarantennale esperienza in materia. Eppure Palù non cita neppure una volta nome e cognome di Andrea Crisanti: anzi, ci tiene a premettere che non vuole entrare in polemica e non vuole fare alcun riferimento personale. Il che, forse, è anche peggio.

Professor Palù, le dispiace essere tirato per la giacca?
«Ci ho pensato a lungo, ma non voglio scendere in polemica. La comunicazione scientifica seria non dovrebbe fare polemica per vendere copie. Il sale della discussione anche nella scienza è il confronto, anche tra visioni scientifiche diverse. Ma questo viene fatto tra pari, tra persone riconosciute come virologi dalla comunità scientifica internazionale o dalle riviste specialistiche. Non con quelli che si accreditano come virologi o che vengono accreditati dai giornali come tali».

Intende sottolineare che Crisanti in realtà non è virologo ma parassitologo?
«Non intendo fare nomi né riferirmi ad alcuno. Io sono un virologo da sempre e dico che la discussione su questo settore si fa e si porta avanti basandosi su ipotesi scientifiche. Non so come funzioni invece tra gli zanzarologi».

Da che cosa sono provocati, secondo lei, questi attacchi?
«Trovo una caduta totale di stile da parte di professionisti compiacersi, se non quasi gioire di disgrazie che affliggono la società e sono causa di dolore. Trovo che questo sia uno sciacallaggio al solo scopo di tenere accese le luci della ribalta e della pubblicità sul piano personale sul piano personale».

L’incubo Covid-19 ce lo porteremo dietro a lungo?
«Questo virus, il primo Coronavirus pandemico, è destinato a rimanere con noi, se non per sempre almeno per generazioni. Probabilmente si adatterà, come ho pubblicato su riviste internazionali di microbiologia e virologia già lo scorso febbraio. Non vedo che cosa dovrei emendare rispetto a quanto ho sempre sostenuto. Vale quello che è scritto».

È deluso dal comportamento di Crisanti, che lei stesso presentò un anno fa alla stampa come suo successore?
«Non voglio parlare di singole persone. Parlo in generale, sia chiaro, ma chi gode o si compiace a sollevare questioni che impattano sulla salute fa opera di sciacallaggio che non merita commento. Chi si comporta così è un personaggio in cerca d’autore e delle luci della ribalta. Sono sorpreso che chi fa comunicazione seria continui a sostenere simili polemiche in quest’ambito. Ripeto, accetto la discussione anche in contrasto, ma con esperti riconosciuti del settore, non con chi si autodefinisce tale. Certe uscite si commentano da sole, fare sciacallaggio sulla sofferenza della gente è inaccettabile».

Sul piano strettamente scientifico, da virologo quale lei è, cosa dobbiamo aspettarci?
«Torno a dire quello che ho sempre detto, siamo in presenza solo di focolai di importazione. Misurare l’RT in una fase in cui si sta azzerando, ha poco senso; ha più senso misurare i casi incidenti giorno per giorno, le presenze negli ospedali e nelle rianimazioni. I casi stanno scemando in tutta Italia, come dimostra il numero di pazienti ricoverati o in terapia intensiva. La fase è calante se non azzerante. Del resto una epidemia è destinata ad accendersi e a spegnersi: ma questo non significa che scompaia, piuttosto si adatta».

Quindi non condivide l’allarme per questi ultimi due focolai in Veneto?
«Da trenta giorni seguo i casi giornalieri, sono tutti o di importazione o comunque non gravi, se non per chi ovviamente viene meno al senso di responsabilità come quel soggetto vicentino positivo che si è spostato liberamente senza la minima responsabilità nei confronti degli altri.

Comportamenti come il suo vanno perseguiti: ma non da noi, piuttosto da chi ha titolo per farlo, come la Procura».

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