Coronavirus Trivulzio, virus dall'esterno: «Il 13 marzo i parenti potevano ancora entrare»

Coronavirus Trivulzio, virus dall'esterno: «Il 13 marzo i parenti potevano ancora entrare»
Coronavirus Trivulzio, virus dall'esterno: «Il 13 marzo i parenti potevano ancora entrare»
di Claudia Guasco
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Domenica 26 Aprile 2020, 10:52 - Ultimo aggiornamento: 18:24

Una sequenza di direttive insufficienti a contrastare il virus, tardive e per di più non applicate con tempestività da Trivulzio. Il Pio Albergo, al centro di un'inchiesta per epidemia colposa e omicidio colposo, ospita un migliaio di lungodegenti, che non escono dalla struttura. Il Covid-19 che ha decimato gli anziani, ipotesi su base sintomatica poiché il piano tamponi è partito il 17 aprile, non poteva dunque che arrivare dall'esterno, dai familiari che ogni giorno accudivano, imboccavano e tenevano compagnia ai loro cari. Ma solo il 10 marzo il direttore generale Giuseppe Calicchio firma un «Avviso urgente relativo al divieto di accesso in struttura a familiari e visitatori». E fino al 13 marzo, riferiscono i parenti, il portone della struttura resta aperto.

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«UN VISITATORE PER VOLTA»
Si legge nella disposizione: «A seguito del decreto dell'8 marzo e delle conseguenti disposizioni urgenti adottate, l'ingresso in struttura non è consentito temporaneamente a parenti e visitatori». Ma l'infezione ormai circolava tra i padiglioni. La Regione Lombardia, che da subito prende le distanze dai vertici del Consiglio di indirizzo, sostiene di aver assunto tutte le contromisure del caso. Afferma l'assessore al Welfare Giulio Gallera: «Abbiamo dato le indicazioni con tempestività. Il primo caso di coronavirus in regione viene registrato il 20 febbraio notte, la prima direttiva sui parenti è del 23, il 27 ne emaniamo un'altra, il 2 marzo diamo la facoltà ai gestori di chiudere le Rsa e l'8 vengono chiuse. Quindi noi siamo stati efficaci. Sin dal 23 febbraio abbiamo fornito le linee guida in cui si applicava una restrizione fortissima all'accesso alle strutture». In realtà non va affatto così. Nel documento ufficiale della Regione Lombardia intitolato «Chiarimenti relativi all'applicazione dell'Ordinanza del Ministero della Salute di intesa con il Presidente di Regione Lombardia del 23 febbraio 2020», si fa esplicitamente riferimento alle Rsa e ai centri diurni per disabili e all'autorizzazione alle visite: «Le case di riposo restano aperte a visite di parenti? Sì, i parenti dei pazienti ricoverati devono attenersi alla regola di accesso alla struttura in numero non superiore a un visitatore per paziente. Anche i Centri diurni per disabili rimarranno aperti». Il 27 febbraio un'altra direttiva: «Prima dell'accesso del visitatore, gli operatori dovranno chiedere conferma dell'assenza di febbre e/o sintomi respiratori». Nelle Rsa già a corto di personale tuttavia, raccontano i testimoni, questo non avviene. Si arriva al 2 marzo: per entrare nei padiglioni i parenti devono compilare un'autocertificazione di assenza di sintomi Covid. Qualsiasi altra iniziativa volta a proteggere gli ospiti viene demandata ai vertici delle Rsa, cui è consentito applicare misure più restrittive. Non essendo ancora in vigore l'obbligo delle mascherine e non effettuando i tamponi, le residenze per anziani non sanno bene come comportarsi.

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ECCEZIONI
Fino al blocco delle visite stabilito dal Dpcm dell'8 marzo, pur con deroghe per i «casi indicati dalla direzione sanitaria della struttura». Perciò alcune Rsa in crisi di personale permettono ai familiari di dare da mangiare ai parenti, mentre il Trivulzio dispone: «Possono riprendere le celebrazioni religiose presso la chiesa interna con la distanza di un metro». Nella maggior parte delle residente per anziani continuano a funzionare bar, mensa e sale comuni, all'Auxologico i familiari dicono di essere entrati fino al 16 marzo, al Pio Albergo tre giorni prima. «Chiediamo che il Trivulzio effettui i tamponi a tutti i degenti in condizioni critiche senza ulteriori ritardi e chiediamo un incontro urgente con il virologo Fabrizio Pregliasco», afferma Alessandro Azzoni del Comitato giustizia e verità per le vittime del Trivulzio. «Vogliamo sapere anche il numero dei decessi e garanzie sul fatto che alla Baggina i nostri cari ricevano tutte le cure necessarie per garantire la loro salute».
 

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