Breccia nel sistema/ Si può battere l’idea che qui nulla cambierà

di Paolo Graldi
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Mercoledì 18 Luglio 2018, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 00:19
Padroni feroci e incontrastati alla Romanina, a Roma Sud.

I Casamonica sono oggi colpiti nei loro gangli vitali attraverso un’operazione a vasto raggio che recide vincoli parentali, spezza collaudate omertà, disarticola attività e legami con la mafia calabrese degli Strangio. Una autentica retata: 31 arresti, sei ricercati, ingentissimi patrimoni sigillati. Il rigore di una inchiesta della Procura di Roma collega strettamente questo clan definito di “estrema pericolosità” con quello degli Spada, signori del crimine nel litorale di Ostia.

Su tutti pesa il reato di associazione mafiosa, forse il carcere duro: se l’accusa reggerà al vaglio del giudizio si potrà dire che si è chiusa un’epoca nella quale i clan costruiti sulle strette parentele vengono decapitati dopo lunghe e incontrastate stagioni.

I fastosi funerali del patriarca, con tanto di feretro trascinato da cavalli neri e petali di rose lanciati da un elicottero, la testata quasi in diretta tv di Roberto Spada a un cronista di Nemo con seguito di riflettori accesi sulla rete di spaccio di droga, di usura, di racket su quell’immenso spazio delimitato dal mare, l’assalto di un manipolo di gregari a un bar perché era stata servita una signora prima del boss.

Questi ed altri episodi di pura arroganza hanno acceso la macchina mediatica, giornali e telegiornali scatenati in servizi rivelatori, imponendo all’attenzione generale un autentico scandalo di illegalità diffusa, lasciata prosperare quasi nella indifferenza generale, fino al punto di lanciare una sfida allo Stato e alle sue istituzioni, in qualche caso giovandosi di vergognose complicità. La oggettiva difficoltà di far breccia nel muro della omertà, un cemento pressoché indistruttibile quando c’è uno stretto vincolo famigliare, è forse la ragione di un ritardo nell’azione giudiziaria.

La scelta di una donna del clan, minacciata di morte con l’acido, di schierarsi dalla parte della legge disvelando i segreti di un’organizzazione collaudata, ramificata, potente e priva di scrupoli ha fornito agli investigatori la chiave d’accesso indispensabile per chiudere il cerchio.

Anche altri soggetti si sono liberati del giogo della paura. Ecco, la paura. I Casamonica e gli Spada tenevano al guinzaglio corto le loro vittime cospargendole di terrore fisico. La paura infusa, cosparsa come un gas verso chi non poteva pagare il saldo di soldi prestati a strozzo, con interessi del mille per mille, chi non accettava perfino la imposizione di un pedaggio per utilizzare certe strade del quartiere la Romanina, un dedalo di vie a senso unico, sbarrate da improvvisati e minacciosi vigilantes: uno, due euro ogni volta, oppure pagamento con pacchetti di sigarette. Un’intera fetta di territorio, sotto gli occhi di tutti e con tutti a ingoiare il rospo per il timore di rappresaglie.

Tutti sapevano, tutto alla luce del sole: vittime e carnefici sullo stesso palcoscenico, nella indifferenza degli occhi della legge, per un tempo lunghissimo.

La Procura di Giuseppe Pignatone ha deciso di recidere la rete, squassarla fin dalle fondamenta mettendo in piedi un’indagine che ha portato sul campo investigatori dell’Arma impegnati per mesi e mesi nella raccolta delle prove.

“Vivo qui da cinquant’anni, mi creda, nulla cambierà”, si legge in una accurata cronaca dal territorio infestato. Ecco, adesso che la rete è scattata e inizia la fase della verifica processuale è proprio il disincanto che va sconfitto, l’idea stessa che l’ondata di arresti equivalga ad una ondata passeggera e che le cose torneranno a ristabilirsi come nel passato. Il contributo di molti cittadini che si sono liberati dei legacci della paura non va disperso, semmai incoraggiato, messo a frutto dimostrando che farsi avanti paga e si è protetti rispetto alle proprie denunce. L’inchiesta del procuratore aggiunto Michele Prestipino ha messo le mani anche su patrimoni ingentissimi, tra i quali molti immobili, addirittura interi comprensori inaccessibili dall’esterno, protetti da occhi elettronici e da una fitta guardiania, pronta alle maniere forti contro gli intrusi e i curiosi, com’è capitato ad alcune troupe televisive, prese a bastonate e a insulti. Il sequestro e poi la confisca dei beni mafiosi si sono rivelati armi efficaci contro i clan, deprivati dei beni indispensabili per reggere lucrosi traffici. Troppe volte tuttavia i circuiti burocratico giudiziari si sono rivelati pieni di falle, poi utilizzate per ripristinare il possesso dei beni sequestrati. Un meccanismo questo che si inceppa troppo spesso riportando a zero gli sforzi compiuti e dando luogo a quel sentimento di sfiducia diffusa che fa dire, a chi abita quei luoghi e ne coglie l’andazzo, che tutto tornerà “gattopardescamente” come prima. Bar, ristoranti, alberghi, pizzerie, palestre, sale giochi: questa è la ragnatela degli investimenti del crimine organizzato. Giovanni Falcone ha insegnato il metodo per far abbassare queste saracinesche.
 
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