​Il caso sbarchi/ La posta in gioco nella guerra mediatica

di Gianandrea Gaiani
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Mercoledì 18 Luglio 2018, 00:15 - Ultimo aggiornamento: 00:19
La volontà del governo italiano di chiudere la rotta libica dell’immigrazione illegale sta provocando una battaglia senza esclusione di colpi che si combatte anche sul fronte mediatico. Da un lato il governo punta a riconsegnare presto alle autorità libiche i clandestini soccorsi in mare dalle navi europee, attuando di fatto quei respingimenti assistiti che la Ue ha finora rifiutato di applicare ma che molti Stati (inclusa l’Austria, presidente di turno dell’Unione) caldeggiano. Dall’altro lato della barricata vi sono le forze politiche “immigrazioniste” e le tante organizzazioni coinvolte nella “industria del soccorso e dell’accoglienza” che dal 2014 ha fatturato solo in Italia tra i 3 e i 5 miliardi annui. Le accuse formulate ieri dalla ong spagnola Proactiva Open Arms alla Guardia costiera libica per la morte di alcuni immigrati conferma quanto questa battaglia sia diventata aspra.

L’accusa, condita con le immagini di donne e bambini morti e superstiti, va presa con le molle: l’intervento delle motovedette libiche è avvenuto molto lontano dall’area dove la Open Arms sostiene di aver trovato vittime e relitto, la fonte non è certo neutrale e le due navi dell’ong spagnola, la Open Arms e la Astral (con a bordo 4 eurodeputati) potrebbero sfruttare la vicenda per cercare di forzare l’accesso, a loro precluso, ai porti italiani.

Nel marzo scorso la stessa Open Arms trasgredì gli ordini del centro per il soccorso di Roma e imbarcò migranti illegali sottraendoli alle motovedette di Tripoli venendo poi posta sotto sequestro dalla giustizia italiana.

Benché la Guardia costiera libica, addestrata, aiutata ed equipaggiata dall’Italia, effettui la gran parte dei soccorsi, l’obiettivo della “lobby dell’accoglienza” è screditarla dipingendola come criminale o quanto meno inadeguata a far fronte a un’emergenza in cui la responsabilità delle vittime dovrebbe ricadere sui trafficanti.

La posta in gioco è alta: dimostrare che la Libia non può essere un porto sicuro e far così riprendere i flussi illegali verso l’Italia impedendo la chiusura di quell’autostrada del crimine rappresentata dalla rotta libica.
Eppure ripristinare il controllo sulle frontiere nazionali, prerogativa di ogni Stato che voglia dirsi tale, dovrebbe essere nell’interesse di tutti anche per ragioni di sicurezza e ordine pubblico.

I canali legali per dare asilo a chi fugge davvero da una guerra esistono da molto prima di questa crisi ma non è più tollerabile, neppure sul piano morale, assicurare l’accoglienza a chiunque paghi criminali per attraversare illegalmente le nostre frontiere.

Il governo di Fayez al-Sarraj, per quanto non controlli pienamente la Tripolitania, è stato insediato a dall’Onu ed è sostenuto dalla Ue e da Roma: è quindi legittimo aiutarlo con fondi e mezzi navali a gestire le sue acque e a bloccare i flussi, accogliendo e rimpatriando i migranti con il supporto delle agenzie dell’Onu finanziate in modo consistente anche dall’Italia.

Del resto proprio Tripoli ha plaudito all’iniziativa dei “porti chiusi” sostenendo che solo in questo modo cesseranno i flussi illegali e con essi anche le tragedie in mare. A questo proposito, l’accoglienza offerta da alcuni paesi europei a parte dei migranti sbarcati lunedì a Pozzallo è stata un successo politico per l’attuale governo italiano, il primo a riuscire a imporre ai partner la condivisione dei migranti illegali. Sul piano pratico però si tratta di un autogol poiché l’accoglienza in Paesi del Nord Europa, il cui welfare è ambito dai migranti, rischia di incentivare tanti che sperano in nuove repliche di quel copione.

Ora che Roma ha chiuso i porti alle navi delle Ong, che raccoglievano i migranti illegali a breve distanza dalle coste libiche, i trafficanti sembrano voler sostituire almeno in parte i poco affidabili gommoni con i barconi in legno, più capienti e con un’autonomia utile a raggiungere Lampedusa ma a rischio di ribaltamento per il sovraccarico. La stessa situazione che il 3 ottobre 2013 portò alla morte di oltre 360 persone di fronte a Lampedusa. Roma all’epoca rispose con l’operazione di soccorso Mare Nostrum le cui conseguenze sono state l’arrivo in Italia in 5 anni di quasi 700 mila migranti illegali. Una decisione sciagurata e oggi certo non più replicabile ma se non si chiude al più presto la rotta libica tragedie come quella potrebbero ripetersi alimentando nuove speculazioni.
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