La via stretta/ Il governo del popolo e gli alibi da evitare

di Marco Gervasoni
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Lunedì 21 Maggio 2018, 00:00
Che i giornali inglesi come il «Financial Times» o qualche ministro francese si impauriscano per l’arrivo di presunti «barbari» Luigi Di Maio e Matteo Salvini è comprensibile, anche se non accettabile. Che però una parte degli italiani, quelli contrari al governo, considerino «barbari» coloro che hanno votato per 5 stelle o Lega è purtroppo una vecchia storia, quasi mai gloriosa e sempre foriera di danni. 

Crediamo infatti che nel programma dell’eventuale nuovo esecutivo, assieme ad alcuni punti buoni, ve ne siano alcuni piuttosto controversi. Ma allo stesso modo non appare né saggio né giusto intentare un processo alle intenzioni e ancor peggio additare in un governo ancora virtuale addirittura l’anticamera di un regine autoritario. Stiamo infatti parlando di un maggioranza che disporrà di sei voti di scarto al Senato, priva dei numeri per introdurre modifiche costituzionali, le cui leggi saranno sottoposte alla rilettura della cosiddetta navetta Camera-Senato e all’esame delle varie Corti: insomma, saranno tarate da tutti i pesi e i contrappesi delle nostre istituzioni. 

Il nostro sistema (purtroppo, aggiungiamo) non è plasmato per decidere: e non diventerà certo decisionista domani con Di Maio e Salvini. Anche perché, ultimo ma non per importanza, c’è il presidente della Repubblica.

Che, se esercita le sue prerogative su ogni esecutivo, su questo adotterà un occhio particolarmente vigile, fino probabilmente a curare che ministri degli Esteri, della Difesa e dell’Economia non siano anti-sistema. Di sicuro, Mattarella non sembra intenzionato a fornire alibi a chi un giorno possa dire: il Colle e la Ue non ci hanno lasciato fare il governo voluto dai cittadini. Semmai, il paradosso è che un governo super-politico come quello espresso dai due leader alla fine si affidi ad un tecnico. 

Ne abbiamo già un’anteprima in due casi. Uno è la condotta dei due leader: che, una volta indossati gli abiti degli uomini di governo non hanno dismesso quelli di militanti da campagna elettorale, attività in cui oggi hanno poco rivali in Italia.

Anche il modo in cui è stata condotta la trattativa tra le due forze è stato tutto un giocare con i registri della comunicazione e con i media, dalle varie versioni del contratto agli spostamenti dei luoghi fino alle piazze (virtuali e reali) di questa fine settimana. Di Maio e Salvini sanno però che, a maggior ragione nel caso siano ministri, dovranno decidere se essere politici di lotta o di governo; anzi, dovranno smettere di essere di lotta. 

Ma lo sapranno fare? In quanto esponenti di forze che altri chiamano «populiste», dovranno quindi dimostrare di non essere da meno nell’arte del compromesso , della mediazione, di progressiva rinuncia e sì, anche, di scelte impopolari. 

Avere i due veri capi politici del governo che mettono in continua fibrillazione il premier (che sarebbe stato individuato nel professor Giuseppe Conte), già a loro di fatto subordinato, non può certo aiutare a tracciare il percorso. 

Secondo esempio: nella storia triunvirati e diarchie durano sempre lo spazio di un mattino e alla fine si afferma solo uno perché, quando ci sono più capi, i problemi si moltiplicano invece di ridursi. Infatti ancora il governo non si è formato e già Di Maio vorrebbe bloccare il progetto Tav mentre Salvini no. Un caso che non è solo formale, ma anche sostanziale. E’ legittimo e persino condivisibile che il governo desideri mettere in discussione la governance della Ue, verso la quale per tutta la campagna elettorale hanno espresso forte insoddisfazione.

Ma risulterebbe quantomeno incoerente oltre che autolesionistico per il Paese che i 5 stelle denuncino l’austerità e l’egoismo europei e poi far saltare quei progetti, come la Tav, anche finanziati dalla Ue per ammodernare le strutture del suoi Paesi. Se si vuole un’Europa più generosa, non bisogna rigettarne le opportunità solo per inseguire la propria base elettorale. Per non parlare poi del danno economico al sistema-Italia e al suo sacrosanto ammodernamento.

Anche se Di Maio e Salvini sanno in cuor loro che difficilmente siederanno al governo per un’intera legislatura, non crediamo sia loro intenzione restarvi solo un trimestre. Sarà bene quindi, se la nave salperà, impegnarsi più nel metodo e meno nella follia, sia pure creativa. 
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