L’orario di lavoro è in calo ma ci sono più stakanovisti

L’orario di lavoro è in calo ma ci sono più stakanovisti
di Luca Cifoni
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Domenica 25 Marzo 2018, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 26 Marzo, 08:06
Gli italiani lavorano meno rispetto a dieci anni fa: se il numero degli occupati è tornato al livello del 2008, quello delle ore lavorate è ancora ben al di sotto dei valori ante-crisi. Ci sono più persone che lavorano a tempo parziale (molte non per propria scelta) e in generale gli orari si sono ridotti. In questo quadro generale però è tornata a crescere negli ultimi tre anni la percentuale di occupati che lavorano più di 40 ore a settimana, gli stakanovisti per vocazione o per necessità. I numeri sul lavoro sono materia delicata ed anche scottante, come dimostra la recente campagna elettorale: ne vengono prodotti tanti, che però misurano il fenomeno da punti di vista diversi.

La rilevazione più citata, ed anche più utile per i confronti internazionali, è quella sulle “forze di lavoro” realizzata dall’Istat sia mensilmente che a cadenza trimestrale. I dati del quarto trimestre del 2017 permettono anche di dare un’occhiata ai valori medi dell’anno: gli occupati sono poco più di 23 milioni e dunque si sono riportati al di sopra della soglia che era stata superata, sempre di poco, nel 2008. Ma se si guarda all’orario, in questi dieci anni c’è stato un rilevantissimo aumento di coloro che lavorano part time: includendo sia i lavoratori dipendenti che gli autonomi sono circa 4 milioni 300 mila, ovvero un milione in più rispetto all’anno in cui iniziò la grande recessione. L’Istat classifica oltre il 60 per cento di questi lavoratori come “part time involontario”, ovvero persone che avendone la possibilità sceglierebbero l’orario pieno o comunque lavorerebbero di più.

LA RILEVAZIONE
Le statistiche sulle forze di lavoro comprendono anche i dati relativi alle ore lavorate dagli occupati nella settimana di riferimento, quella in cui appunto si è svolta la rilevazione. Le cifre permettono prima di tutto di notare come l’incidenza di coloro che lavorano solo un’ora sia praticamente nulla e comunque costante nel tempo: è un punto importante perché l’inclusione di queste persone tra gli occupati (in base ai criteri decisi dall’International Labour Office, che è un’agenzia dell’Onu) è spesso contestata o comunque messa in discussione.

Bene, l’incidenza di questa casistica non supera mai lo 0,1 per cento; parliamo insomma di poche migliaia di lavoratori. Anche il peso di coloro che lavorano fino a 10 ore a settimana non è particolarmente rilevante, pur se in lievissimo aumento rispetto al periodo ante-crisi: questo orario riguarda più o meno il 2,5 per cento degli occupati. Molto più interessanti sono le altre tipologie: si è assistito da dieci in anni in qua ad un visibile incremento della frequenza degli orari tra le 11 e le 20 ore e tra le 21 e le 35 ore: in percentuale valgono oggi rispettivamente il 9 e il 17 per cento del totale. È una tendenza coerente con la crescita degli occupati part time.

Dal 2008 in poi invece c’era stato un aumento dell’incidenza dell’orario “normale”, quello tra 36 e 40 ore, in concomitanza con un forte calo della percentuale di coloro che lavorano 41 ore e più: un andamento che è ragionevole associare con la riduzione degli straordinari soprattutto nella prima fase della recessione. Poi, negli ultimi anni la prima tipologia si è stabilizzata intorno al 45-46 per cento, mentre il “super-orario” è tornato a coinvolgere più lavoratori: nel 2017 la sua incidenza si è avvicinata al 18 per cento, dopo essere scesa sotto il 16 nel 2013.

I CONTI NAZIONALI
Se invece che agli occupati della rilevazione campionaria sulle forze di lavoro guardiamo al totale delle ore lavorate (misurate dall’Istat nell’ambito della contabilità nazionale) osserviamo che i circa 43 miliardi 200 mila del 2017 segnano una ripresa rispetto al minimo di 41 miliardi 800 mila del 2013-2014; ma sono ancora ben al di sotto del picco del 2008 (45 miliardi e 800 mila ore).
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