Epidurale, Italia maglia nera: «Garantita a una donna su 5»

Epidurale, Italia maglia nera: «Garantita a una donna su 5»
Epidurale, Italia maglia nera: «Garantita a una donna su 5»
di Valentina Arcovio
3 Minuti di Lettura
Lunedì 21 Maggio 2018, 00:00 - Ultimo aggiornamento: 22 Maggio, 07:37
ROMA Stefania e Francesca vivono nel Lazio e sono entrambe al nono mese di gravidanza. Tutte e due hanno una paura folle di soffrire durante il parto e vorrebbero ricevere un aiuto medico per rendere meno dolorosa possibile l’esperienza più bella della loro vita. 

Purtroppo, solo una ci riuscirà. Ed è Francesca, alla quale è stato assicurato un parto «dolce» con l’analgesia epidurale, una tecnica sicura che consente di controllare il dolore del travaglio e del parto. Il motivo di questo privilegio? Niente di speciale, salvo che Francesca vive a Roma e Stefania a Viterbo. Nella Capitale, infatti, ci sono molte grandi strutture che offrono l’analgesia 24 ore su 24. A Viterbo, invece, pur essendo una provincia, i parti «dolci» non sono previsti in nessun ospedale pubblico. Così come Stefania, il parto con l’epidurale è «off limits» per moltissime altre donne in Italia. 

MAGLIA NERA ALLA CAMPANIA
Si stima infatti che solo una futura mamma su cinque abbia accesso all’analgesia epidurale durante il parto. Più fortunate sono le mamme del Nord e del Centro Italia, dove la percentuale si aggira intorno al 20-25%. Al Sud invece si stima una percentuale inferiore al 10%. Troppo poco considerato che l’OMS ha di recente ribadito che il parto con l’epidurale è un diritto di tutte le donne. Troppo poco se paragonato ai numeri dei paesi più sviluppati. Negli Usa, ad esempio, il 67% dei parti naturali avviene con analgesia epidurale. In Francia solo nel 2008 erano il 42,8% e oggi si stima che siano aumentati fino al 75%, in Svezia al 66% e così via. 

«In Italia siamo ancora molto indietro», conferma Ida Salvo, fino a pochi mesi fa primario dell’Unità di Anestesia e Rianimazione dell’Ospedale dei Bambini Buzzi di Milano, coordinatrice del Gruppo di Studio SIAARTI per l’Ostetricia e membro della commissione Bollini Rosa di ONDA. «L’inserimento dell’epidurale per il travaglio nei nuovi Lea, i livelli essenziali di assistenza che tutte le Regioni devono garantire ai cittadini, ha migliorato le cose ma c’è molto da fare. Specialmente in alcune regioni», aggiunge. 

In primis, la Campania a cui va la maglia nera. «Lì non ci sono strutture pubbliche che consentano alle donne di accedere h24 all’analgesia epidurale», spiega Salvo. «Dicono che ci sia poca domanda da parte delle donne, ma noi abbiamo dimostrato che se offri il servizio la percentuale di donne che la scelgono sale», aggiunge. «Non va meglio in Abruzzo, dove la peridurale viene offerta solo a Chieti, e in Sicilia dove viene utilizzata solo nel 4,29% dei casi e soprattutto a Palermo».

Il Lazio, invece, presenta una situazione davvero molto particolare. «È vero che nel 2016 i parti con analgesia epidurale - dice Salvo - hanno raggiunto la percentuale più elevata in Italia, ma c’è da dire che più della metà avvengono a Roma. Il servizio non è accessibile per moltissime donne che vivono nelle province e non tutte possono andare a partorire nella Capitale». 

PUGLIA BENE AL SUD
Va meglio in alcune regioni del Nord, dove il servizio è meglio distribuito. «In Lombardia, ad esempio, nel 2016 si è arrivati al 26%, in Emilia Romagna nel 2015 si è arrivati a poco più del 20%, in Liguria al 26,5», dice Salvo. In alcune regioni meridionali si sta muovendo qualcosa, seppur lentamente. «L’esempio più virtuoso è la Puglia: non abbiamo dati ufficiali, ma sappiamo che oggi ci sono 5 strutture che la offrono h24. Anche in Calabria di recente ora ci sono due grosse strutture che offrono l’epidurale 24 ore su 24».

Ma siamo ancora a percentuali troppo basse. «L’obiettivo è avere un centro con epidurale h24 in ogni provincia», sottolinea Salvo. Ma farlo ha un costo. Bisogna infatti garantire la presenza di un anestesista 24 ore su 24 nei punti nascita. «Ma si può fare», garantisce Salvo. «Si potrebbero, ad esempio, reperire risorse chiudendo, come prevede la legge, i centri che effettuano meno di 500 parti all’anno, che sono quasi uno su quattro in Italia. Oltre a essere pericolosi, infatti, costano tanto».
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