Comitato tecnico scientifico, il leader: «Non siamo signor no, ma il virus sta ancora circolando»

Comitato tecnico scientifico, il leader: «Non siamo signor no, ma il virus sta ancora circolando»
Comitato tecnico scientifico, il leader: «Non siamo signor no, ma il virus sta ancora circolando»
di Mauro Evangelisti
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Sabato 27 Giugno 2020, 07:11 - Ultimo aggiornamento: 08:04

«Non diciamo sempre no, però dobbiamo avere chiaro che il virus sta ancora circolando. E non possiamo da una parte imporre mascherine e distanze all'operaio quando lavora, poi lasciarlo libero di avere contatti ravvicinati durante una partita di calcetto. Però un'apertura si può avere se si trovano meccanismi per garantire la salute di chi gioca, stiamo dialogando anche su questo con le Regioni. Siamo anche molto preoccupati per le immagini di assembramento della movida, il giovane si sente invincibile e il coronavirus, statisticamente, spesso non ha su di lui effetti gravi, ma se si contagia poi quando va a casa infetta i genitori, i nonni, i più anziani e fragili». Il dottor Agostino Miozzo, dirigente della Protezione civile, è il coordinatore del Comitato tecnico scientifico sul coronavirus, che in questi mesi ha dovuto dare indicazioni anche sofferte. E spendere molti no.
Come è cambiata la vostra attività a supporto del governo?
«Noi continuiamo a esaminare le richieste e i quesiti del Ministero della Salute e del governo tutto. Rispetto all'inizio, c'è qualche elemento per prendere le decisioni. Però vediamo anche quello che sta succedendo in giro per il mondo, con le ondate di ritorno e i cluster che esplodono improvvisamente come in Germania, Cina, Corea del Sud. Per fortuna spesso le risposte per fermare i focolai sono tempestive, ciò che non sapevamo fare a febbraio e a marzo, oggi si fa con più efficacia e si limitano i numeri. Questo in fondo ci salverà e ci traghetterà verso una nuova fase, altrimenti sarebbero dolori. La guardia rimane molto alta. Bisogna avere i riflessi veramente pronti nell'identificare, tracciare e isolare i nuovi casi».
Cosa si rischia?
«Io temo molto l'impatto psicologico di eventuali nuove chiusure. In linea di massimo è vero che i nuovi casi sono meno gravi, perché riusciamo ad affrontarli per tempo e curarli meglio. Ma se l'epidemia andasse di nuovo fuori controllo e fossero necessarie nuove chiusure, il contraccolpo psicologico sarebbe devastante. Devo dire che la sensibilità dell'opinione pubblica e la collaborazione della gente ci sono; si è compreso, ad esempio, che l'obbligo della mascherina al supermercato è una indicazione di auto tutela e di tutela degli altri».
Come giudica la risposta ai focolai che si sono sviluppati in Italia negli ultimi giorni?
«Sono rimasto colpito dall'efficacia. Per me è una soddisfazione straordinaria, da medico e da operatore della protezione civile, vedere che il nostro sistema sanitario nazionale, tanto contestato, sta portando a casa risultati così importanti. È una maturazione collettiva. Ci auguriamo che questi cluster siano sempre meno».
Il Cts è deluso dalla scarsa risposta alla app Immuni e alla campagna dei test sierologici?
«Forse alcune cose sono state spiegate male, ma alla fine i risultati ci saranno. E con il ministero della Salute stiamo preparando altre iniziative».
Parla dei test sierologici per tutti gli insegnanti?
«Ci stiamo lavorando, ma non è semplice. Dobbiamo decidere le modalità, parliamo di 1,2 milioni di operatori delle scuole. Bisogna capire se farli a campione o a tutti; se farli una volta o periodicamente».
Siete i signor no. L'ultima è stata la proibizione del calcetto.
«Noi dobbiamo fare valutazioni di carattere tecnico, sanitario, epidemiologico. Le portiamo alle valutazione del governo e delle autonomie locali, che devono decidere. Ci siamo sentiti di dire, con chiarezza, che non possiamo dire a un operaio che deve usare la mascherina e restare a un metro dai colleghi mentre lavora e poi, quando esce dalla fabbrica, può andare a giocare a calcetto senza alcuna forma di protezione. È uno sport bellissimo, sociale, ma è il contrario delle indicazioni che questo virus ci ha imposto di dare. Se valgono in tutti gli ambiti della vita quotidiana, non possiamo fare una eccezione per il calcetto. Però potremmo fare delle aperture, a condizioni che si trovino dei meccanismi per il controllo che diano garanzie di tutela della salute».
Siete preoccupati dagli assembramenti della movida?
«Assolutamente sì. Ci rendiamo tutti conto che parliamo di una generazione di giovani che proprio nell'entusiasmo della loro età non hanno consapevolezza del rischio, ma siamo molto preoccupati. Non possiamo fare altro che continuare a urlare la preoccupazione. Dobbiamo migliorare la comunicazione ai giovani e la riapertura delle scuole sarà utile. Dobbiamo comunicare che la movida senza prudenza, senza distanze e mascherine, non va bene. La distanza è l'unica vera prevenzione che esiste, lo dico con rammarico. Ma dobbiamo anche auspicare l'aiuto di qualche influencer. Ormai gli influencer sono i più bravi a dialogare con i ragazzi. Fa molto più effetto un influencer di una dichiarazione del coordinatore del Comitato tecnico scientifico».
Ci sono dei rischi negli spostamenti tra regioni per le vacanze?
«Continuo a dire: manteniamo alta la guardia. In Lombardia ogni giorno abbiamo 100-150 nuovi casi positivi, in altre nazioni si interviene con chiusure in presenza di un numero molto inferiore. Se andiamo in vacanza, bisogna rispettare, con i comportamenti prudenti, le regioni che ci ospitano; e le zone turistiche, che giustamente vogliono ripartire, devono comunque fare prevenzione perché bastano pochi casi a causare chiusure e dunque lo stop al turismo».
Volevate mettere il plexiglas tra i banchi?
«Una bugia, ipotesi ma presa in considerazione. Come Cts abbiamo indicato le distanze necessarie in aula. Tenga conto che in media un alunno in Italia ha 2 metri quadrati a disposizione, in Scandinavia 8. Non abbiamo la bacchetta magica».
 

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