Coronavirus, Rizzi (infettivologo): «Simile all'Aids per diffusione ma il contagio è più veloce»

«Coronavirus simile all'Aids per diffusione», Marco Rizzi (medico a Bergamo): ma il contagio è più veloce
«Coronavirus simile all'Aids per diffusione», Marco Rizzi (medico a Bergamo): ma il contagio è più veloce
di Claudia Guasco
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Domenica 15 Marzo 2020, 11:48 - Ultimo aggiornamento: 12:55

Da due giorni, sulla Torre 4 dell'ospedale papa Giovanni XXXIII di Bergamo, campeggia il grande murale di una dottoressa che culla l'Italia. È qui l'ultimo fronte della lotta contro il coronavirus: con 2.368 positivi, 232 in più in un solo giorno, la provincia bergamasca ha il triste primato di provincia con il maggior numero di malati della Lombardia. E quindi d'Italia. «I posti letto non bastano, ogni giorno aggiungiamo un pezzo all'ospedale», racconta alla fine di un'altra giornata in trincea Marco Rizzi, direttore del reparto Malattie infettive.

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Dottore, cosa è successo a Bergamo?
«In realtà tutto è partito dal focolaio della bassa Val Seriana, ad Alzano e a Nembro ha cominciato a circolare sotto traccia prima che venisse registrato il primo caso. Per due, tre settimane il contagio si è diffuso indisturbato, senza che a nessuno sorgesse il sospetto. Ora il virus è in ogni angolo della provincia».

E voi siete in prima linea.
«Ogni giorno arriva un centinaio di persone, 50-60 vengono ricoverate. In terapia intensiva abbiamo 70 pazienti, continuiamo ad aggiungere posti e nelle prossime ore ne potremo già accogliere 80. Per fortuna ci sono anche le dimissioni, una trentina al giorno: non tutti i pazienti tornano a casa, un terzo di loro viene spostato in altri reparti».

Purtroppo ci sono anche tanti morti: 146 in tutto, da ieri al cimitero c'è una sepoltura ogni mezz'ora.
«È molto triste. La camera mortuaria della città è satura, per accogliere le vittime sono state aperte le porte delle chiese. E questa situazione è doppiamente triste, perché non riguarda solo l'elevato numero di decessi ma è un problema spesso connesso con i familiari. I parenti di chi è morto sono a loro volta contagiati dal virus, non c'è nessuno che può occuparsi del trasporto della salma e organizzare i funerali. Abbiamo chiesto e ottenuto l'appoggio dei cimiteri: le casse chiuse possono rimanere lì in attesa delle esequie».

L'epidemia di coronavirus impressiona anche un infettivologo con la sua esperienza, dottore?
«Un contagio simile si è visto in Italia e in Europa solo con la spagnola, che ha avuto il medesimo impatto per rapidità come è avvenuto a Lodi e nella bergamasca. Noi siamo passati in tre settimane da zero a 400 casi. Devo dire però che ho una carriera sufficientemente lunga alle spalle per aver vissuto l'epoca dell'Aids: ecco, per ampiezza di diffusione il coronavirus è molto simile. Con la differenza che in questo caso c'è anche la velocità del contagio: il 23 febbraio abbiamo registrato il primo caso, in due giorni abbiamo preparato e subito riempito 48 letti nel reparto di malattie infettive. Tutti quadri clinici con polmoniti e grave insufficienza respiratoria».

Così l'ospedale ha cominciato a crescere.
«Da ventuno giorni aggiungiamo letti, e il giorno dopo altri ancora. Il reparto di Neurochirurgia è vuoto e pronto ad accogliere altri quarantotto contagiati. Ora disponiamo nel complesso di 400 posti in tutto l'ospedale dedicati ai pazienti affetti da coronavirus e tutti sono occupati. Ricaviamo spazio ovunque, sfruttiamo anche le sale operatorie sotto utilizzate. In questo momento la priorità è combattere l'infezione».
 

 
 

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