L’intervento di Mattarella/Tornano le spoglie di Vittorio Emanuele III, la condivisione del passato rafforza il Paese

di Marco Gervasoni
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Domenica 17 Dicembre 2017, 00:05 - Ultimo aggiornamento: 00:14
Bentornata Jelena Petrovi-Njegoš: Elena del Montenegro, o Elena di Savoia, ultima vera e propria sovrana d’Italia.
La leggendaria Maria José, dopo di lei, regnò infatti solo poco più di un mese. Decisione saggia e giusta, quella del Presidente Mattarella.

Come giusto è il ritorno, per ora solo annunciato, accanto alle spoglie della moglie, di quelle del marito, il re Vittorio Emanuele III. Ma prima di elogiare, oltre alla decisione in sé, la tempistica, dobbiamo confessare il nostro stupore. La trattativa si sarebbe svolta in gran segreto tra le rispettive diplomazie, italiana e francese (Elena era sepolta a Montpellier).

Perché? Si temeva forse che, diffusasi la notizia prima della traslazione, questa avrebbe potuto saltare per le polemiche? Oppure è stata una decisione della famiglia? Nel primo caso ci sarebbe da preoccuparsi: chi teme ancora, dopo che giustamente gli eredi Savoia sono tornati da vivi, la reviviscenza dei morti? Francamente, se qualcuno crede che minacce all’ordinamento statale e repubblicano possano venire da fantomatiche sollevazioni neo-monarchiche, è meglio che ricorra a un buon psichiatra.

Viviamo in tempi burrascosi, in cui l’identità nazionale e il senso di appartenenza alla patria, per di più nel nostro paese meno granitici che altrove, sono scossi da monsoni: scatenati dalle trasformazioni economiche, dalla velocità delle trasformazioni globali, dai trasferimenti di sovranità verso le istituzioni europee e dalle fragilità della tenuta interna degli Stati nazione (da noi, e ancor più in Spagna, nel Regno Unito, persino in Francia). Per questo il presidente della Repubblica, e i suoi ultimi predecessori, si sono impegnati all’estremo per rafforzare una memoria nazionale il più possibile pacificata.

Perché l’identità della nazione passa anche attraverso la condivisione di un passato e di una memoria comuni. La storia dell’Italia unita, senza la quale non ci sarebbe la Repubblica, è infatti inseparabile da quella dei Savoia. Vittime forse di strali troppo severi da parte degli storici, nei primi decenni dopo la guerra. Errori, anche gravi, la casa reale ne commise: ma, sia pure in maniera diversa tra loro, e a seconda dei tempi, tutti i sovrani agirono per il bene del paese, e lasciarono fruttificare i fermenti di libertà e anche di democrazia che faticosamente si stavano imponendo.

Proprio Vittorio Emanuele III fu il re più democratico di tutti, anche rispetto alle altre teste coronate d’Europa. Per il grande Mario Missiroli (a suo tempo, tra le altre cose, anche direttore di questo giornale) fu addirittura un re «socialista»: lasciò ampio potere e autonomia al Parlamento e a Giovanni Giolitti e non si intromise quando questi cercò di coinvolgere, all’inizio del secolo scorso, i socialisti, allora impregnati di retorica marxista, nel governo del paese. Certo, pesano su Vittorio Emanuele III due enormi gravami. La firma delle leggi razziali, nel 1938, una vergogna che macchierà il nostro paese per sempre. E poi l’incapacità, dopo la giusta decisione di far cadere Mussolini il 24 luglio 1943, di gestire il paese, che culminò nella fuga del re da Roma l’8 settembre, nel crollo dello Stato e nella guerra civile.

Per questo non solo Vittorio Emanuele III, ma tutti i suoi eredi, hanno pagato. Ma le guerre civili, in Italia proseguite in forma più o meno fredda per quarant’anni dopo la fine del conflitto, e che oggi qualunque vorrebbe continuare, devono chiudersi, anche nel ricordo. Il ritorno delle spoglie del re, senza polemiche, schiamazzi e retorica, metta la parola fine a tutto questo. E chi voglia salutare Vittorio Emanuele III possa sentirsi libero, senza viversi come un escluso, di recarsi nella cappella di famiglia: non al Pantheon, però, perché in quel caso si tratterebbe di un riconoscimento diverso. E che il passato non sia più il terreno di guerre della memoria, di cui non si sente alcun bisogno. 
 
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